Fratture traumatiche vertebrali: cervicali, dorsali e lombari
Fratture traumatiche cervicali
Di seguito una breve descrizione dei principali tipi di fratture ai
diversi livelli cervicali e le tecniche di trattamento.
Frattura dell'Atlante (prima vertebra cervicale, C1)
La più nota è la frattura di Jefferson e consiste in una frattura da
compressione che causa la frattura in quattro parti della circonferenza
della vertebra interessando sia l’arco anteriore che posteriore; vi sono
vari sottotipi che possono interessare solo l’arco anteriore o solo
quello posteriore o coinvolgere anche la massa laterale in maniera più o
meno scomposta o interessare entrambi gli archi ma solo da un lato o
diagonalmente. Nelle fratture non dislocate il trattamento è
conservativo con un collare rigido, in quelle instabili, quando vi è una
rottura del ligamento trasverso dell’atlante, è indicato l’intervento
chirurgico di stabilizzazione. Si possono utilizzare diverse tecniche
come la fissazione occipito-cervicale, la fissazione C1-C2 con viti o
con fili sottolaminari.
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Frattura dell'Atlante con i proncipali sottotipi: |
frattura arco
anteriore (A) |
frattura arco
posteriore (B) |
frattura
semplice di una massa laterale (C) |
frattura
scomposta di una massa laterale (D) |
frattura arco
anteriore e posteriore in 4 parti (E) |
frattura arco
anteriore e posteriore in due parti (F) |
Frattura della seconda vertebra cervicale (C2)
Il tipo più frequente è la frattura del dente dell’epistrofeo
(frattura di Anderson) che viene suddivisa in tre tipi: il tipo 1 è la
frattura dell’apice del dente, il tipo 2 è la frattura della base del
dente, il tipo 3 è la frattura che si estende sul corpo di C2. Meno
frequente è la frattura di hangman che consiste in una frattura della
porzione compresa fra le faccette articolari superiori e inferiori
bilateralmente.
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Frattura del
Dente dell'Epistrofeo con i tre sottotipi: |
Le fratture di Anderson di tipo 1 sono generalmente stabili e
guariscono senza terapia; in caso di rotture ligamentose è invece
indicato l’intervento chirurgico che consiste in una stabilizzazione
posteriore fra C1 e C2.
Le fratture di Anderson di tipo 2 con una dislocazione del dente
maggiore di 6 mm sono considerate instabili e vanno trattate
chirurgicamente per via anteriore o posteriore. La tecnica anteriore
consiste nel posizionamento, attraverso una incisione anteriore
cervicale analoga a quella per l’ernia discale, di una vite che dallo
spigolo antero-inferiore di C2 risale fino all’interno del dente,
fissandolo; il vantaggio di questa tecnica è quello di preservare la
biomeccanica del dente permettendo di conservare la normale mobilità del
collo. La tecnica posteriore consiste, attraverso una incisione
cervicale posteriore, nell’esecuzione di una fissazione C1-C2 o, in caso
di rottura anche di C1, in una fissazione occipito-cervicale; lo
svantaggio di questa ultima tecnica è quello di limitare la motilità
cervicale.
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TAC di frattura del Dente
dell'Epistrofeo (frattura di Anderson di tipo 2) |
Le fratture di Anderson di tipo 3 hanno una elevata percentuale di
guarigione spontanea che viene ottenuta facendo indossare al paziente un
collare rigido per circa 3 mesi; nel caso di importanti rotture
ligamentose è invece indicato l’intervento chirurgico che consiste in
una fissazione C1-C2 con fili sottolaminari o con viti transarticolari.
Le fratture di hangman possono essere trattate conservativamente con
una immobilizzazione cervicale rigida; in caso di insuccesso è indicato
l’intervento chirurgico che consiste o in una fissazione anteriore fra
C2 e C3 o in una fissazione posteriore fra C1 e C2, spesso estesa fino a
C3.
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TAC post-operatoria dopo intervento
di fissazione
per via anteriore con inserimento di vite nel dente
dell'epistrofeo |
TAC
post-operatoria dopo intervento di fissazione
del dente dell'epistrofeo
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Fratture cervicali fra C3 e C7
Possono essere classificate in base al meccanismo di insorgenza in
fratture da flessione-lussazione, da flessione-compressione, da
compressione-scoppio, da estensione:
- Le fratture da flessione-lussazione sono dovute alla rottura di
una o di entrambe le faccette articolari e si manifestano con uno
scivolamento di una vertebra rispetto all’altra.A seconda del grado
di compressione sul midollo vi possono essere deficit neurologici
più o meno gravi; se lo scivolamento è minimo non vi sono deficit.
Nel caso di rottura di una sola faccetta si può iniziare con un
trattamento conservativo riservando l’opzione chirurgica solo nel
caso di insorgenza di instabilità tardiva mentre quando sono rotte
entrambe le articolazioni è preferibile l’opzione chirurgica. Si può
utilizzare sia un approccio posteriore con barra fissata con fili
sottolaminari o con viti articolari,oppure anteriore con placca e
viti sui corpi vertebrali nel caso via sia una prevalente
compromissione del disco e compressione anteriore sul midollo.
- Le fratture da flessione-compressione consistono in un
abbassamento della parte anteriore del corpo vertebrale e
generalmente non provocano una compromissione neurologica. Fino ad
un terzo di perdita di altezza del corpo vertebrale la frattura è
considerata stabile e trattata conservativamente mentre, per perdite
di altezza superiori, è indicato l’intervento chirurgico che a
seconda dei casi può essere eseguito con approccio anteriore o
posteriore come descritto in precedenza.
- Le fratture da compressione-scoppio consistono in una frattura
di tutto il corpo vertebrale con arretramento di un frammento
posteriore verso il midollo; se la retropulsione è marcata compaiono
deficit neurologici anche importanti. Sono generalmente instabili e
in questo caso vengono trattate chirurgicamente; con l’approccio
anteriore viene eseguita l’asportazione del corpo vertebrale
fratturato che viene rimpiazzato con un sostituto e fissato con
placca anteriore.
- Le lesioni da estensione causano una frattura più o meno grave
degli elementi posteriori; in caso di danno neurologico è indicato
un intervento chirurgico di decompressione che può essere eseguito
posteriormente o anteriormente a seconda della prevalenza della
compressione.
Il decorso post-operatorio è variabile in base alla condizione
neurologica pre-operatoria. In assenza di deficit neurologici il
paziente viene fatto alzare la mattina dopo l’intervento e dimesso dopo
qualche giorno, mentre in caso di deficit neurologici e/o altri
traumatismi associati è necessario un periodo più o meno lungo di
riabilitazione.
Fratture traumatiche dorsali
Possono essere classificate in diversi tipi. Vengono suddivise in
fratture lussazione, fratture da compressione, fratture a scoppio.
La diagnosi viene ottenuta con la radiografia, la TAC e la risonanza
magnetica nucleare.
- Le fratture-lussazione consistono in uno scivolamento di una
vertebra rispetto all’altra. La sintomatologia si manifesta con
dolore e, come conseguenza della compressione midollare causata
dalla vertebra lussata, con deficit neurologici. Sono fratture
instabili e vanno trattate chirurgicamente; l’intervento consiste in
una fissazione posteriore con barre e viti peduncolari, se è
presente una compressione midollare viene eseguita anche una
laminectomia decompressiva.
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Frattura-lussazione di vertebra
dorsale |
- Le fratture da compressione consistono in un abbassamento della
porzione anteriore del corpo vertebrale; quando la perdita di
altezza del corpo vertebrale è inferiore al 50% la frattura è
considerata stabile e trattata conservativamente (tuttavia se è
presente una compressione midollare può essere indicata l’esecuzione
di una laminectomia), sopra questa percentuale è instabile e viene
trattata chirurgicamente con le stesse tecniche descritte
precedentemente. In assenza di deficit neurologici e se non vi è la
necessità di eseguire una laminectomia, la fissazione con viti
peduncolari e barre può essere eseguita con tecnica percutanea
miniinvasiva.
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Frattura da compressione di
vertebra dorsale con perdita di altezza del corpo maggiore
del 50% |
- Le fratture a scoppio consistono nella frattura dell’intero
corpo vertebrale spesso con retropulsione di un frammento e
compressione midollare, sono instabili e vanno trattate
chirurgicamente; se è presente una significativa compressione
midollare è indicata una decompressiva che può essere ottenuta
mediante la rimozione del corpo vertebrale fratturato con un
approccio anteriore mediante una toracotomia e il posizionamento di
un sostituto con placche mentre, se non è necessaria la rimozione
del corpo vertebrale, si utilizza un approccio posteriore con barre
e viti peduncolari. Anche in questo caso se non è necessario
eseguire una laminectomia e in assenza di deficit neurologici, si
può utilizzare la tecnica percutanea miniinvasiva.
Il decorso post-operatorio è diverso a seconda del grado di
compromissione neurologica pre-operatoria. In assenza di deficit
neurologici il paziente viene generalmente fatto alzare la mattina dopo
l’intervento (soprattutto quando si utilizza la tecnica percutanea) e
dimesso dopo pochi giorni. Completamente diverso quando vi sono
importanti deficit neurologici e/o altri traumatismi associati: in
questi casi è necessario l’intervento di un fisioterapista per
mobilizzare il paziente che necessiterà di un periodo più o meno lungo
di riabilitazione in ospedale e successivamente anche a domicilio.
Fratture traumatiche lombari
Sono classificate in base al meccanismo di insorgenza. Vengono
suddivise in fratture da compressione, fratture a scoppio e
fratture-lussazione.
- Le fratture da compressione presentano una riduzione in altezza
del corpo vertebrale inferiore al 50%, con cedimento della sola
parte anteriore del corpo mentre la restante porzione rimane
intatta. La sintomatologia si caratterizza per dolore localizzato al
livello fratturato senza deficit neurologici in quanto non si
verifica compressione midollare. La diagnosi viene ottenuta con la
radiografia che in proiezione laterale evidenzia bene la perdita in
altezza del terzo anteriore del corpo vertebrale con altezza
conservata nel resto del corpo. Queste fratture sono generalmente
stabili e vengono trattate conservativamente senza intervento
chirurgico.
- Le fratture a scoppio presentano invece una rottura completa del
corpo vertebrale, con una riduzione in altezza superiore al 50% e
spesso una retropulsione del muro posteriore verso il midollo. La
sintomatologia consiste in dolore a livello della sede e, in caso di
marcata retropulsione del muro posteriore con conseguente
compressione midollare, compaiono deficit neurologici. La diagnosi
viene ottenuta con la radiografia che in proiezione laterale
evidenzia un abbassamento di tutto il corpo vertebrale; la TAC e la
Risonanza magnetica nucleare forniscono importanti informazioni sul
grado di retropulsione del muro posteriore e sulla entità della
compressione midollare. Queste fratture sono instabili e vanno
trattate chirurgicamente. L’intervento viene eseguito per via
posteriore o anteriore. Nella via posteriore si esegue una incisione
lineare mediana centrata sul livello fratturato ed estesa
cranialmente e caudalmente, si scolla la muscolatura paravertebrale,
si inseriscono i divaricatori esponendo bene le lamine; nel caso di
marcata retropulsione del muro posteriore con compressione midollare
e deficit neurologico viene eseguita una laminectomia decompressiva
(asportazione della parte posteriore delle vertebre in modo da
decomprimere il midollo), quindi vengono posizionate bilateralmente
viti nei peduncoli delle vertebre sopra e sotto la vertebra
fratturata (ed eventualmente anche in quella fratturata) che vengono
poi collegate con due barre fissate alle viti in distrazione. Nei
casi in cui non vi sia retropulsione del muro posteriore o sia di
grado modesto senza deficit neurologici, non è necessaria
l’esecuzione della laminectomia decompressiva ed è indicato il solo
intervento di fissazione con viti e barre che in questo caso può
essere eseguito con tecnica percutanea miniinvasiva. La via
anteriore necessita di un approccio transaddominale o
retroperitonale e permette la rimozione completa del corpo
vertebrale fratturato e la sua sostituzione con una protesi.
- Le fratture-lussazione consistono in una frattura vertebrale
associata a scivolamento di una vertebra sull’altra. Queste fratture
causano compressione midollare con deficit neurologici. La diagnosi
viene ottenuta con la radiografia in proiezione laterale, con la TAC
e con la Risonanza magnetica nucleare. Sono fratture instabili e
vanno trattate chirurgicamente. Dal punto di vista della tecnica
chirurgica valgono le stesse considerazioni fatte sopra per le
fratture a scoppio.
Il decorso post-operatorio dipende dal grado di compromissione
neurologica pre-operatoria. In assenza di deficit neurologici e
soprattutto quando si è utilizzata la tecnica percutanea miniinvasiva,
il paziente viene fatto alzare la mattina dopo l’intervento e dimesso
dopo pochi giorni. Se invece erano presenti importanti deficit
neurologici e/o altri traumatismi associati, è necessario l’intervento
di un fisioterapista per mobilizzare gradualmente il paziente che
necessiterà poi di un periodo più o meno lungo di riabilitazione prima
in ospedale e poi a domicilio.